L'arte del comando



Ho letto un bell'articolo di George Monbiot sul Guardian in cui si parla delle presunte abilitá gestionali dei top-manager e dell'1% piú ricco della popolazione in generale. L'articolo comincia prendendo spunto dal lavoro di Daniel Kahneman, premio Nobel per l'Economia nel 2002. In due parole, Kahneman sostiene che il successo (apparente) dei top-manager sia solo un'illusione cognitiva (piccolo inciso: due interessanti articoli di Matteo Motterlini su Kahneman qui e qui). Traduco Monbiot:

Per esempio, (Kahneman) ha studiato i risultati ottenuti da venticinque consulenti finanziari, nel corso di 8 anni. Ha trovato che la regolaritá delle loro prestazioni era pari a zero. "I risultati assomigliavano a quello che uno si aspetterebbe da una partita a dadi, non da un gioco di abilitá." Coloro i quali hanno ricevuto i bonus piú alti erano solo stati fortunati. 

Sembra un po' difficile da credere ma, dopo tutto, siamo decisamente piú stupidi (o meglio, meno razionali) di quello che crediamo. Leggendo Monbiot, mi é tornata in mente questa bella TEDtalk di Dan Ariely che documenta esempi concreti di irrazionalitá collettiva, eccola (con sottotitoli in italiano, cliccate sul tasto Play in basso a sinistra se no non partono).


In Inghilterra, una convinzione molto diffusa é che chi si arricchisce lo faccia sfruttando le proprie capacitá e la propria inclinazione al rischio, una qualitá riservata a uomini (e donne, poche) con una marcia in piú. Per quanto mi riguarda, é una concezione allucinante ed é surreale come riesca a sopravvivere di questi tempi, ma basta leggere i commenti dei lettori all'articolo di cui sopra per rendersi conto di quanti inglesi abbiano una cieca fiducia nelle presunte capacitá imprenditoriali di chi guadagna cifre a enne zeri, nonostante lo sfacelo sociale che caratterizza il Regno Unito odierno (oltretutto il Guardian é un giornale di sinistra). Monbiot fortunatamente non la pensa cosí:

Se la ricchezza fosse il risultato inevitabile del duro lavoro e dell'intraprendenza, ogni donna in Africa sarebbe millionaria.

Mentre rimuginavo su tutto ció (ovvero su quanto mi infastidisca la retorica liberista), mi sono chiesto quale sia la nostra di convinzione. Certo, i manager (e i ricconi in generale) stanno sui coglioni a (quasi) tutti in Italia. Tralasciando il presunto genio dell'imprenditoria che ci ha stuprato collettivamente per 17 anni (dettaglio non indifferente, ma ne parlano sempre tutti eccheppalle) e che, proprio oggi, dovrebbe levarsi definitivamente dai coglioni, mi soffermo un attimo sulla crème de la crème della nostra classe manageriale.


I tre signori rappresentati qui sopra hanno un paio di cose in comune, ovvero (1) la gestione di grandi aziende che, in un modo o nell'altro, beneficiano di un'immensa quantitá di denaro pubblico; (2) la manifesta incapacitá (premeditata o meno) di gestire alcunché. Il primo dei tre ha portato a termine l'affare del secolo (a spese dei contribuenti), mettendo in piedi una societá che ufficialmente si occupava di passamaneria. Il secondo guidava un'azienda che intercettava illegalmente decine di migliaia di utenze telefoniche, il tutto a sua insaputa, ça va sans direIl terzo, beh cazzo sarete saliti su un treno negli ultimi 5 anni, o no? Se viaggiate nelle prossime settimane, ricordatevi di mettere una coperta in valigia.

Insomma, a me il culto dell'imprenditore sta profondamente sulle palle e, probabilmente, anche nel mondo anglosassone ci sarebbero numerosi esempi per demolirlo. Ma visti gli esempi di tycoon nostrani, non riesco proprio a capacitarmi di come tale pratica riesca a sopravvivere in Italia. Insomma, é risaputo che i nostri top-manager coprono tutto l'intervallo che va dall'incapace al criminale. Ció nonostante, la nostra vecchia e nuova classe dirigente ci ripete ogni santa volta che va in onda Floris una serie di stucchevoli favolette su competitivitá, produttivitá e leggi del mercato. Leggi che peró non si applicano ai casi sopra citati, che sono di fatto monopóli privati con soldi pubblici.

Nel suo articolo, Monbiot cita anche un recente studio che ha analizzato sperimentalmente i tratti psicologici di 39 manager inglesi di successo e ha paragonato i loro risultati con quelli dei pazienti di un ospedale giudiziario (stesso test, ovviamente). La cosa interessante é che per alcuni degli indicatori di malattia mentale considerati nello studio, i punteggi dei manager hanno eguagliato o addirittura superato quelli dei pazienti. Traduco nuovamente:

Secondo me, se hai tendenze psicopatiche e sei nato in una famiglia povera, hai buone probabilitá di finire in galera. Se hai tendenze psicopatiche e sei nato in una famiglia ricca, hai buone probabilitá di finire in una Business School.

Eh giá, la famiglia di origine. Ora, non tutti i nostri manager arrivano necessariamente da famiglie estremamente facoltose (anche se i tre cavalieri del lavoro di cui sopra probabilmente non se la passavano cosí male a casa loro). La famiglia di appartenenza peró in Italia (come altrove) sembra non essere un criterio irrilevante nella selezione della (futura) classe dirigente, anche e soprattutto nell'ambito dei politici progressisti o presunti tali.

"... giusto, zio?" "Sono stato bravo, papá?"
La recente scomparsa di Steve Jobs (pace all'anima sua, ma forse poi cosí rivoluzionario non lo é stato) ha fatto registrare un'impennata di retorica neoliberista anche a casa nostra, persino da parte di coloro i quali dovrebbero teoricamente opporsi a tutte queste stronzate sulla competizione e i mercati. E comunque sí, mi infastidite profondamente voi utenti Mac con i vostri odiosi cavi magnetici e i vostri vassoi luminosi.

Venire licenziato dalla Apple é stata la cosa migliore che mi sarebbe mai potuta capitare. La pesantezza del successo é stata sostituita dalla leggerezza dell'essere nuovamente un principiante, con meno sicurezze su tutto. Mi ha dato la libertá di cominciare uno dei periodi piú creativi della mia vita. 

Spieghiamolo agli operai di Fincantieri (un esempio a caso), che sono cosí stupidi (ma non abbastanza foolish, ahimé) da non aver ancora capito la fortuna che li attende dietro l'angolo.

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